
Chi paga la guerra? Sempre i più deboli. Israele attacca l’Iran. Ma a soffrire sono i civili, i lavoratori, gli invisibili.
L’attacco condotto da Israele contro obiettivi strategici in Iran ha riacceso uno scenario di guerra aperta nel cuore del Medio Oriente. I bombardamenti hanno colpito installazioni militari e nucleari, causando morti. Teheran annuncia ritorsioni. Le cancellerie mondiali si affrettano a invocare la calma. Ma il danno è fatto. Ancora una volta, la logica dello scontro ha prevalso su quella del dialogo. Ancora una volta, le decisioni sono state prese nei vertici militari e politici, e a pagare saranno i civili. Le famiglie. I lavoratori. I più fragili.
Non possiamo dire di non sapere
C’è una differenza profonda tra questa fase storica e le guerre del passato: oggi vediamo tutto. In tempo reale. Le immagini delle vittime civili a Gaza, i bambini sotto le macerie a Rafah, i corpi nei mercati colpiti dai raid, i funerali di massa trasmessi in diretta.
Eppure, paradossalmente, più vediamo, meno reagiamo. Ci siamo assuefatti al dolore altrui. Lo consumiamo come se fosse parte del flusso quotidiano. Scrolliamo, indignati per un secondo, e poi passiamo oltre. Ma cosa serve, allora, per scuotere le coscienze?
A Gaza, ormai si parla apertamente di genocidio. Eppure si fatica a trovare una presa di posizione netta, anche nel mondo democratico. Il silenzio è assordante. E se non ci scuote l’idea che intere famiglie vengano annientate, che i profughi non abbiano più dove fuggire, che si bombardino ospedali e scuole, cosa ci scuoterà?
La guerra a pezzi che ci riguarda tutti
Non c’è bisogno di una dichiarazione formale per sapere che il mondo è già immerso in una nuova forma di guerra globale. Una guerra “a pezzi”, fatta di conflitti locali e regionali, che si moltiplicano e si connettono, mentre il sistema internazionale si frammenta.
In Ucraina e Russia, in Palestina e Israele, in Siria e Yemen, in Sudan e nel Sahel, in Myanmar, nel Caucaso e in Asia orientale. Ovunque ci siano interessi economici e geopolitici in gioco, esplodono bombe.
La guerra è sempre una questione sociale. E ogni bomba sganciata è un diritto cancellato: alla casa, alla salute, al lavoro, all’istruzione, alla sicurezza.
I veri costi della guerra
Ogni conflitto produce disoccupazione, inflazione, carovita. I bilanci pubblici si piegano alla spesa militare, mentre si tagliano sanità e scuola. Le economie si militarizzano, le libertà si restringono, le disuguaglianze aumentano.
E mentre gli armamenti corrono, i salari ristagnano. Mentre si fabbricano missili, si perdono diritti. Chi lavora e chi ha poco diventa invisibile nei palazzi del potere, ma sempre più esposto sui campi di battaglia, anche senza indossare una divisa.
La pace è un tema sindacale
Chi rappresenta il mondo del lavoro ha il dovere di dirlo chiaramente: la pace non è una questione astratta, è un interesse concreto delle classi popolari. La pace è giustizia sociale, redistribuzione, diritti. La guerra è l’esatto contrario.
È per questo che non possiamo restare neutrali o silenziosi. Il nostro posto è dalla parte di chi rifiuta la logica delle armi e costruisce la logica dei diritti. Di chi chiede investimenti nei servizi pubblici, non nei carri armati. Chi rappresenta il mondo del lavoro ha il dovere di dirlo chiaramente: la pace non è una questione astratta, è un interesse concreto delle classi popolari. La pace è giustizia sociale, redistribuzione, diritti. La guerra è l’esatto contrario.
Non sappiamo se quanto accaduto tra Israele e Iran porterà a una guerra mondiale. Ma sappiamo già che, anche stavolta, i primi a soffrire saranno i più deboli.
E questa volta, non potremo dire di non averlo visto.
Bisogna mobilitarci. Pacificamente, ma con determinazione.
Ribellarci alla logica della guerra e dell’indifferenza non è solo un diritto: è un dovere democratico.
Serve una grande risposta collettiva, sociale, culturale e politica.
Una risposta che parta dal basso, dal mondo del lavoro, dai cittadini che non vogliono più essere spettatori silenziosi.
Perché la pace non si delega. Si costruisce. Insieme.
Massimo Braccini, segretario generale Fiom Cgil Livorno e Grosseto.