La scomparsa del senso collettivo nei luoghi di lavoro non è un dettaglio. È una sfida da affrontare per chi crede ancora in un futuro giusto, umano e solidale. Un tempo, nelle fabbriche, ci si chiamava Compagni. Oggi, se va bene, ci si chiama colleghi.
È solo una parola, forse. Ma è anche un segnale. Di un cambiamento culturale profondo, culturale e organizzativo, che ha trasformato il lavoro un luogo sempre più solitario, individualizzato, competitivo.
Un luogo dove la solidarietà è stata sostituita dalla semplice convivenza, e dove il senso di appartenere a qualcosa di più grande si è affievolito.
Nella Fiom e nella Cgil continuiamo a chiamarci Compagni, perché per noi quella parola ha un peso. Non è nostalgia, non è retorica. È una scelta di campo.
Essere Compagni significa condividere un’idea di dignità, una visione del lavoro che non si limita al contratto, ma guarda alla persona, alla sua libertà, alla sua vita quotidiana.
Purtroppo, però, nei reparti e negli stabilimenti, il tempo per riconoscersi, per parlare, per stringersi la mano, si è ridotto fino quasi a scomparire.
Il lavoro moderno è sempre più spezzettato: turni flessibili, subappalti, controllo costante delle prestazioni. Le pause sono minute. I rapporti umani, rarefatti. Il lavoratore è sempre più solo, dentro un sistema che lo vuole produttivo, non consapevole.
Questo isolamento non è casuale. È il frutto di un modello produttivo che ha lavorato per disinnescare la solidarietà, per dividere i lavoratori e renderli più deboli.
Ma è proprio per questo che la parola Compagno va ripresa, non archiviata. Perché non c’è difesa dei diritti se manca una cultura condivisa del lavoro. Non basta la contrattazione, se non c’è relazione. Non bastano le piattaforme rivendicative, se non c’è un noi che le sostiene, le sente, le vive.
E per fortuna, nei luoghi di lavoro le RSU ci sono ancora. Anche quando tutto spinge all’isolamento, c’è chi ogni giorno tiene viva una forma di rappresentanza diretta, collettiva, resistente. E’ un presidio di democrazia, spesso silenzioso, ma fondamentale.
Le RSU sono la prova che non tutto è smantellato. Che si può ancora costruire un noi. Che esiste ancora uno spazio dove la voce dei lavoratori può contare, se riusciamo a rimettere in circolo la fiducia e la partecipazione.
Come dirigente Fiom, vedo ogni giorno quanto bisogno ci sia di tornare a parlarsi, ad ascoltarsi, a fare comunità nei luoghi di lavoro. Abbiamo bisogno di una nuova solidarietà operaia, aggiornata ai tempi che viviamo, ma fedele alla sua radice: nessuno si salva da solo. Se il linguaggio è lo specchio della realtà, allora cambiare le parole è anche un modo per cambiarla.
Chiamarsi compagni, oggi, è un atto politico e umano insieme. È dire: non siamo qui solo per lavorare. Siamo qui per riconoscerci, per difenderci, per costruire qualcosa di più giusto insieme. Ed è da lì che si riparte.
Massimo Braccini, Segretario generale Fiom Livorno e Grosseto
