
Il primo maggio, giornata di festa e di lotta, riassume in sé l’atto di nascita del movimento operaio che rivendicava migliori condizioni lavorative nello scenario della rivoluzione industriale, accompagnato dalla parola d’ordine: 8 ore di lavoro, 8 ore di svago, 8 ore per dormire.
Il movimento operaio nasce con l’idea di esprimere una rappresentanza universale del lavoro, della classe operaia, perché cosciente che alla logica del capitale, che non ha confini nazionali, bisognava provare a organizzare un’entità che avesse la stessa forza e le stesse dimensioni, ma in un’ottica dove in ogni paese il proletariato dovesse anzitutto sbrigarsela con la propria borghesia.
Oggi invece sembra che siamo alla controrivoluzione, alla rivincita del capitale sul lavoro. Siamo di fronte a grandi sfide a cui siamo chiamati a rispondere. La tecnologia, l’intelligenza artificiale e la pericolosa rincorsa agli investimenti nel settore delle armi, trasformeranno ulteriormente parte dei processi produttivi esistenti e rivoluzioneranno le imprese ed i modi di lavorare, ma qualsiasi cambiamento deve essere affrontato con i lavoratori. Non potrà mai esistere nessuna modernizzazione se fatta contro i lavoratori.
L’incertezza del lavoro, la paura del futuro, la mancanza di speranze, rappresentano il terreno per una deriva autoritaria che va assolutamente contrastata. Per questo la riunificazione del lavoro e la democrazia restano una delle condizioni strategiche per il movimento sindacale, accompagnate dalla lotta per ritessere le fila di una lunga storia, in modo da garantire la rappresentanza sociale come espressione autonoma nell’interesse dei lavoratori e del paese.
Il lavoro continua ininterrottamente ad uccidere. Circa 6.400 persone in tutto il mondo muoiono “di lavoro” ogni giorno, a causa di un incidente, o di una malattia professionale: una cifra impressionante e sbalorditiva. Spesso si ricerca un guadagno facile a scapito della sicurezza, I morti sul lavoro sono una catena infinita e spesso sono anche bambini se guardiamo i dati a livello globale. Nel 2024 in Italia gli infortuni mortali sono stati 1090, a cui vanno aggiunte le invalidità permanenti e le malattie professionali. Un bollettino di guerra, di una guerra spesso silenziosa che abbiamo il dovere di fermare.
Per una larga parte delle imprese la competitività si gioca sui costi e sui diritti, le principali cause degli incidenti sul lavoro sono dovuti alla precarietà e alla mancanza di garanzie. Più si abbassa la dimensione delle imprese più aumenta il tasso di incidentalità. I referendum su cui siamo chiamati a votare l’8 e il 9 giugno sono fondamentali per garantire più sicurezza nei luoghi di lavoro, perché in caso di infortuni di lavoratori negli appalti, estendono la responsabilità all’impresa appaltante e cancellano le Leggi che hanno reso i lavoratori più poveri e precari. Va ricondotta sempre la responsabilità degli infortuni sul lavoro a chi ha gli effettivi poteri decisionali dell’organizzazione del lavoro e a chi ha il vero potere di spesa, andando anche a ricostruire la filiera degli appalti selvaggi. Spesso molti lavoratori se qualcuno li avesse informati correttamente sui rischi del lavoro, non sarebbero successi tanti incidenti.
Certe volte sarebbe bastato poco, e questo ci fa provare ancora più rabbia. Ci sono molte imprese che investono in sicurezza, ma altrettante che fanno anche calcoli cinici tra costi, benefici e rischi, come se la sicurezza e la vita delle persone potesse essere un mero calcolo di bilancio. Dietro ogni incidente o infortunio mortale vi sono sempre delle precise responsabilità. La dignità del lavoro è alla base della nostra comunità civile. Nei principi di quella dignità abbiamo il dovere di lottare per restituire al lavoro tutto il valore che merita. Noi continuiamo a batterci perché il lavoro sia emancipazione, realizzazione della persona, rispetto della dignità dei lavoratori.
Massimo Braccini, segretario generale Fiom Livorno e Grosseto